giovedì 17 luglio 2008

Respiro.

16 Luglio Anno Domini 2008, Italia (?), Lombardia, Milano, Piazza Leonardo da Vinci, Politecnico di Milano, Aula di chimica industriale C.I.1.

Un'aula prestigiosa, un'aula vecchia.
Una targa ricorda che vi ha insegnato Natta, e da allora sembra che non sia passato un solo mese.
Stesse lavagne in ardesia, stesse sedie in legno piegaschiena che hanno provveduto con il passare del tempo a formare generazioni di ingegneri con la scoliosi, stessi becchi Bunsen nascosti dietro la lavagna di destra, che restano aperti spandendo nella luce del mattino il tipico odore del gas metano.

E li dentro ci sono anche io, con la penna a sfera in mano (grazie Tiz) e il foglio bianco che mi guarda.
Io lo guardo con un'espressione supplicante, quasi che possa scriversi da solo.

Niente.

Quel bastardo non si scrive da solo.

Prego, attendendo un fascio di luce che discenda dal cielo con squilli di trombe angeliche.

Niente.

L'aula è esposta a Est, e il sole è sorto da un bel po...

Visto che non ottengo risposta, prendo foglio e biro.
Osservo quel diagramma di fase dell'equazione differenziale a 10 piani che la professoressa voleva farci studiare (bellissimi i punti singolari a ellisse, cose mai viste...), con agilità salto oltre lo schienale della sedia davanti, zompo scattando giù dalle file del parlamento e con un salto mortale lancio la penna a sfera che precisissima va a conficcarsi nella carotide della professoressa, la quale cade riversa sulla catedra dove Natta ha insegnato.

Natta direbbe che sono stato un po brusco...

Poi apro gli occhi, mi ripeto che la devo smettere con le cazzate.
Prendo il foglio, striscio inciampando nei gradini del "parlamento", arrivo davanti all'esercitatore,

"Consegna o si ritira?" -Anche lui ha capito tutto...- "Consegno".

"Sicuro?" "Sisi..." "Bene, salve." "Arrivederci, *bastardo!* EHM"

Anche questa volta non è andata, ma so già che appena uscirò dalla porta di quella aula, come tanti anni fa aveva fatto Natta, allora già tutto andrà meglio... Perchè li fuori c'è aria fresca, c'è il sole, c'è la LIBERTÀ.

Esco, chiudo la porta dietro di me, mi giro, guardo il cielo, chiudo gli occhi



e respiro.







Anche quest'anno è finito, dopotutto... Non importa come, non importa se ancora devo dare due esami... Per adesso vorrei restare un po così, fermo a respirare.

Magari tra un po riaprirò gli occhi.

1 commento:

Anonimo ha detto...

davvero carino... mi ricorda qualcosa che scrissi un pò di tempo fa, solo che in chiave lavorativa...

ANCHE OGGI UCCIDERO' IL MIO CAPO

Siamo solo io e lui, in quello che, dopo un primo sguardo, sembrerebbe un parcheggio isolato; uno di quelli sotterranei, costruiti su diversi livelli collegati da rampre a spirale.
Il vento soffia imperterrito e non accenna a fermarsi, in sottofondo si avverte una strana e ripetitiva musica.
La mia mano sinistra afferra saldamente il suo bavero mentre la destra impugna un'abbondante manciata dei suoi unti capelli.
Entrambi, totalmente ricoperti di sangue e sudore, continuiamo imperterriti la nostra violenta disputa; ambedue convinti di uscirne vincitori.
Un violento calcio, sferratogli al ginocchio sinistro, provoca un sordo rumore e la mia pelle si accappona, nel percepirne la provenienza...
Credo di avergli fratturato qualche articolazione ma questo, non ferma di certo la nostra brutale attività.
"Hai visto, FIGLIO DI PUTTANA! ti ho fracassato una gamba." Adesso parli ancora male di me al direttore?" Non riesci più a fare il gradasso con me, ora?"
La mia mano, guidata da una rabbia irrazionale si schianta sul suo insanguinato volto che si riempie inesorabilmente dei capelli che avevo in pugno.
"Adesso, BASTARDO, credi ancora che io sia un fallito?...Perche non rispondi, hai paura?"
La scena diviene sempre più raccapricciante ed io sempre più in estasi.
Provo una colossale soddisfazione alla vista del suo sangue e le mie mani, quasi fossero possedute, non smettono di colpire il suo volto.
Quello che fino a pochi secondi fa era uno scontro alla pari si sta rapidamente trasformando in un massacro. Tutta la mia rabbia repressa, le mie delusioni e la mia frustrazione si stanno inevitabilmente riversando sul suo corpo ormai quasi irriconoscibile.
"Ne vuoi ancora? STRONZO che non sei altro, lo capisci che devi smetterla di sottomettermi sul lavoro o devo strapparti un'altra ciocca di capelli?"
Gli sferro una violenta ginocchiata nello stomaco e impreco nuovamente contro quel verme:
"PEZZO DI MERDA! Solo perchè sei il mio capo credi di essermi superiore come persona?"
Il mio perverso divertimento ha ormai raggiunto il suo apice quando una melodia lo interrompe...

"Words like violence
Break the silence
Come crashing in
Into my little world
Painful to me
Pierce right through me
Cant you understand
Oh my little girl"

Maledetto cellulare! Suona sempre nei momenti sbagliati.

"All I ever wanted
All I ever needed
Is here in my arms
Words are very unnecessary
They can only do harm...."

Pronto? Buona sera, no no no, non disturba affatto, mi dica... Per domani? Non ci sono problemi.
Ok, allora inizio a lavorarare alle quattro e mezza anzichè alle cinque. Va bene... Arrivederla capo, a domani.
Terminata la conversazione mi accorgo che la mia situazione fosse peggio del previsto: Il mio corpo scomposto giace sul terreno ma il mio avversario è in piedi e, con la dovuta foga, inonda di calci il mio bacino...
Mentre parlavo al telefono, quella che era divenuta (per qualche minuto) la perfetta riproduzine digitale del mio capo, continuava il pestaggio senza che io potessi difendermi... GAME OVER!
Rassegnato alla sconfitta, raccolgo il vibrante joypad da terra e premo il pulsante "Start", seleziono quindi l'opzione "Retry".
Sullo schermo compare la scritta GTA S.Andreas.

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